May 6, 2001

La notte di domenica 6 maggio 2001, Kenneth Kirschner, compositore americano noto per i suoi esperimenti di riproduzione random-infinita del suono, si aggira per i quartieri di New York con la sua attrezzatura per riprese audio alla ricerca di spunti per nuovi pezzi.

La notte di domenica 6 maggio 2001, Kenneth Kirschner, compositore americano noto per i suoi esperimenti di riproduzione random-infinita del suono, si aggira per i quartieri di New York con la sua attrezzatura per riprese audio alla ricerca di spunti per nuovi pezzi.
Dal materiale acquisito, che contiene anche un prezioso documento degli spazi del Financial District di Manhattan ancora occupato dalle torri, nasce oggi un cd dal titolo May 6, 2001. Il lavoro contiene cinque tracce per altrettante interpretazioni, tutte ottenute a partire dallo stesso materiale, ed è stato pubblicato lo scorso settembre da and/Oar, etichetta attiva dal 2002 nota ai cultori del field recording, che focalizza le sue produzioni su audio-reportage, documentazioni e registrazioni d’ambiente e minimalismo sonoro, con una particolare attenzione alle implicazioni puramente estetiche, oltre che documentaristiche, presenti in queste tecniche di audioripresa.
L’acquisizione di esterni sonori (ma talvolta anche di interni…si pensi, per esempio, alla medicina) si può avvalere di svariate attrezzature, più o meno professionali, impiegate ad esempio nel giornalismo o nel cinema, che vanno dall’assemblato di microfono, cuffie e registratore portatile (o computer), all’utilizzo di particolari microfoni a contatto (per esempio da muro o per intercettazioni) e binaurali (cioè auricolari), fino alla scelta di strumenti specificamente nati per la ricerca scientifica come idrofoni, geofoni e così via.
In fondo il concetto è molto semplice: acquisire il suon. Lo si può fare come più ci piace e a seconda della quantità di gusto che abbiamo in dotazione: se digitiamo su Google la parola “rutto” per esempio, abbiamo immediatamente accesso a una libreria vastissima di registrazioni che documentano l’attività digestiva di ignoti. La gamma dei prodotti per le registrazioni ambientali è infatti molto vasta e la fantasia con cui questi possono essere combinati insieme è pressochè infinita. Lo testimonia anche la diffusione del field recording in Italia, che spesso viene praticato con strumenti comuni e di uso tutt’altro che specialistico come minidisc portatili, walkman, telecamerine digitali ecc…
Tralasciando la musica concreta o l’utilizzo del nastro nella musica cosiddetta colta, dove l’utilizzo del materiale sonoro prodotto senza artificio è piuttosto evidente, prendiamo in considerazione le produzioni musicali pop elettroniche degli ultimi anni.
Qui il field recording viene spesso utilizzato come materiale da sottoporre a processi digitali attraverso il software e, per lo più, concepito come un particolare effetto sonoro: una sorta di sfondo o disturbo indifferenziato che, mescolato con altri media, è in grado di generare connessioni casuali e inaspettate che arricchiscono una composizione, un brano o una canzone.

In questo senso moltissimi dischi che hanno fatto la storia della musica pop o folk possono rientrare a buon diritto in questa categoria; basta pensare, banalmente e senza sforzo, alla presenza delle regitsrazioni d’ambiente nei primi come poi in quasi tutti i lavori dei Pink Floyd (motociclette che partono in Atom Heart Mother, uccelli del paradiso in Ummagumma, colazioni a Los Angeles, fino alle mense affollate in The Final Cut). Si tratta spesso di un uso puramente descrittivo delle registrazioni, volto a sortire un’effetto di immedesimazione quasi visiva dell’ascoltatore in un determinato contesto.
Pensando invece ad etichette come Folkways, impegnata da decenni a documentare e collezionare le trasormazioni del suono negli ambienti naturali ed urbani, ci accorgiamo inoltre che esiste un’arte ristretta del field recording che consiste nell’uscire di casa, possibilmente viaggiare, ascoltare e catturare dei suoni. Ma questa è solo una questione di metodo e in fondo ciò che conta è che nella musica, da quando esistono strumenti in grado di acquisire il suono, niente è mai nuovo, alla faccia dell’autoralità e dei primati…E meno male!
Se poi uniamo il field recording con la vera e propria filosofia dell’Open Source allora il passo è fatto! Finalmente, come si augurerebbe Blanchot, potremmo assistere alla scomparsa, o meglio all’esaurimento dell’autore, cioè del soggetto che percepisce illusoriamente l’opera (il suo oggetto) come frutto di una qualche attività intellettuale originaria (l’ho fatto io!) piuttosto che come rielaborazione di un materiale già dato. E in qualche misura questo vale anche per la musica stumentale se prendiamo in considerazione l’idea di genere…
In ogni caso and/Oar propone lavori interessanti sia per chi ama la musica sia per chi è semplicemente curioso di calarsi con le orecchie dentro differenze geografiche, come nel caso del lavoro di Marc Behrens e Paulo Raposo uscito a ottobre, che hanno ripreso Lisbona (città-sonora già evocata Wim Venders nel suo film Lisbon Story) spostandosi su Ferry Boats, creando un ritratto di 23 minuti molto suggestivo.

May 6, 2001 contiene cinque interpretazioni a partire dallo stesso field recording di partenza. Oltre quella di Kirschner :Taylor Deupree, Tomas Korber, Ralph Steinbruekel e Aaron Ximm. Ogni singola interpretazione appare particolarmente ispirata nelle intenzioni lasciando emergere suggestive riflessioni distese nel tempo, coadiuvate dall’utilizzo di strumenti musicali, equalizzazioni raffinate, tagli, sovrapposizioni o dall’accostamento di parti grezze e parti manipolate.
Dal sito web di and/Oar è possibile scaricare l’mp3 contenente la versione grezza di 46 minuti a bassa risoluzione e l’editing (molto bello secondo me) realizzato da Kirshner sulla base di quel materiale: il ritratto che ne esce è un paesaggio urbano sordo e desolato, fatto di echi lontani e profondi e segnato dai percorsi dell’aria ventosa di New York e da piccole raffiche di corrente che sfiorano, rivelandole, le geometrie degli edifici.

Tutto, le strade, gli uffici, i grandi spazi metropolitani appaiono immersi in una strana atmosfera, insolita rispetto al viavai e all’operosità che animavano il Financial Districy allora: è normale che i critici americani siano stati colpiti dalle similitudini di quel silenzio con il silenzio di oggi a Ground Zero.

 

Pubblicato su Digimag

back to overview