Makroskop: traduzione sonora del passato
Una scultura-audio-visiva nata dalla collaborazione tra Hannes Nehls , ricercatrice e media artista, e Boris Hars Tschachotin, storico dell’arte e film-maker presentata nel 2006 presso laKaisersaal del Museum für Fotografie di Berlino.
Una scultura-audio-visiva nata dalla collaborazione tra Hannes Nehls , ricercatrice e media artista, e Boris Hars Tschachotin, storico dell’arte e film-maker presentata nel 2006 presso laKaisersaal del Museum für Fotografie di Berlino.
Una spirale fatta di pannelli verticali accostati l’uno all’altro formano una specie di selciato opaco e lunare sul quale si avvitano figure, volti, esistenze del passato. La struttura alta diversi metri è percorribile all’interno e si articola in un percorso biografico-narrativo ispirato alla vita e al lavoro dello scienziato russo Sergej Stepanowitsch Tschachotin, bisnonno di Boris.
Microbiologo e visionario sociale nato negli anni 80 del XIX secolo fu amico di Einstein e Pavlov e attivo all’alba della ricerca genetica sul cancro; un personaggio eccentrico e tragico, la cui vita è stata segnata in modo profondo dagli eventi del XX secolo tra l’esilio, la militanza, il ritorno, le peregrinazioni attraverso l’Europa, cinque matrimoni e otto figli. Fu una figura di spicco nella Rivoluzione Russa poi, esiliato giovanissimo in Germania, fu attivo contro la scalata al potere del Partito Nazionalsocialista. Viaggiatore e fuggiasco rimase coinvolto nel terremoto di Messina, fu bandito dalla Russia di Stalin e potè rivedere la sua patria solo con Krusciov. Si sente la sua storia in Makroskop. Ma la forza della vicenda personale che sta dietro alla storia di ognuno di noi, oggi come ieri, si riflette con maggiore intensità sugli avanzi audiovisivi della vita di un uomo.
Questi aprono uno spazio bidimensionale (altezza e larghezza) occupato dallo scorrere delle immagini di figure umane intere in diversi momenti della loro vita forse mescolati tra loro. Donne, uomini, bambini, particolari. Il tempo appare bidimensionale sui pannelli in cui i volti cambiano, invecchiano, spariscono. La terza dimensione, la profondità dello spazio all’interno della scultura, è variabile e dipende da come scegliamo di impostare il nostro percorso ovvero da come ci muoviamo all’interno della spirale e da quale flusso emotivo sta controllando la nostra passeggiata. Anche se Makroskop non può essere definita un’opera interattiva c’è una specie di scambio termico tra la nostra reale presenza e quella degli “attori”, fatta di materia sottile eppure resistente come la luce e il suono; in qualche strano modo è come se l’intensità di Makroskop fosse controllata dalla presenza e dal numero dei visitatori, che si configurano di volta in volta come altrettanti testimoni dello stesso dialogo con il tempo e la storia.Il materiale, in gran parte fotografie ma anche filmati, interviste radio e documenti sonori, viene proiettato nello spazio aperto dalla struttura creando una singolare esperienza di disorientamento: uno sradicamento spazio-temporale in cui la sensazione di avere a che fare con la morte per mezzo di piccoli gesti della vita come registrare, fotografare, documentare, costruire l’apparato dei ricordi e la messinscena della memoria, è corroborata dalle ceneri con cui sono dipinti i pannelli di proiezione che conferiscono un’aria spettrale e sinistramente sacra all’opera.
Il materiale audio costituisce infine la quarta dimensione della scultura. Ne riempe lo spazio e restituisce all’udito una dimensione storica completa, acquisita essa stessa con strumenti che ormai appartengono al passato. In questo senso Makroskop è un lavoro di recupero, di archivio e in ultima istanza una forma di traduzione – anche tecnologica – del passato..
Da questo lavoro emerge un’idea del tempo non lineare, ciclica ma non chiusa e piuttosto simile a un vortice o a un turbine incontrollabile. Makroskop costituisce un lavoro preliminare, la cui idea è nata casualmente durante la preparazione di un film in cui la vita di Sergej viene presentata in modo più lineare attraverso la forma del documentario. Rispetto a questo punto Makroskop è un esempio (certo né il primo né l’unico, ma bello e funzionante) di come audio e video allontanati dello spazio performativo del live media e decontestualizzati dal cinema siano in grado di organizzare un’esperienza sensoriale ed estetica immersiva ed autonoma, fruibile come un’opera d’arte.
Pubblicato su Digimag