Paradigmi elettroacustici
In che modo la dialettica arte-nuove tecnologie coinvolge il processo compositivo e la fruizione della musica? Quali esiti ha avuto l'elettrificazione del suono sul piano del linguaggio musicale?
Oggi le macchine possono produrre musica originale in modo autonomo, trasformare musica già fatta, riprodurre suoni naturali, inventare suoni mai uditi e muoversi pressoché senza limiti all’interno della frattura -solo terminologica- che unisce e al contempo separa il naturale e l’artificiale.
Nella misura in cui la tecnologia non è soltanto un mezzo ma anche una modalità produttiva, la creazione musicale viene investita e ridefinita da quella specificità. Françoise Delalande, psicologo e pedagogista musicale, definisce questo rapporto “paradigma tecnologico” della musica elettroacustica, ovvero l’idea secondo la quale accanto ai tradizionali sistemi di creazione, trasmissione e conservazione musicale dell’oralità e della scrittura, esista un terzo modello epistemologico, che si pone alla base delle trasformazioni semiotiche e strutturali che caratterizzano tutta la musica del secolo scorso. E oltre. Nel Novecento questa trasformazione si tradusse sul piano linguistico nel passaggio “dalla nota al suono”.
Secondo Pierre Schaeffer ciò avviene come un salto dal grafismo notazionale astratto e simbolico dello spartito alla “concretezza” del suono registrato. Diversamente, per John Cage il suono sta al silenzio come la materia al vuoto, mentre per Murray Schafer esso è l’orizzonte acustico definito dal paesaggio sonoro e interpretato dal compositore-ascoltatore. Tralasciando la complessità con cui ciascuna di queste riflessioni teoriche si connette e integra l’altra, ciò che più importa è il fatto che tutte sottolineino un passaggio dalla tonalità alla sonorità nella musica, praticabile ed esperibile attraverso la tecnologia.
Gli esperimenti musicali di Luigi Russolo, che furono al contempo degli esperimenti linguistici, inaugurarono un ambito nuovo nella pratica musicale attraverso la ridefinizione terminologica delle pratiche compositive. Al pari degli oggetti sonori di Schaeffer, l’audace intonarumori di Russolo e Ugo Piatti mette in atto il passaggio dalla nota al suono in modo radicale, indicando delle vere e proprie funzioni, che progressivamente prendono il posto sia dello strumento che del compositore. Uno dei primi effetti di questa trasformazione è la scomparsa dell’interprete, mentre la programmazione di sistemi complessi di sintesi sonora su base neuronale ne è forse l’esito più recente. Alla medesima altezza si potrebbe poi collocare l’utilizzo dell’ambiente sonoro nell’ambito della composizione, riducendo ulteriormente il ruolo del soggetto con la messa in primo piano dell’ascolto e della sua inevitabile componente intersoggettiva e fenomenologica. Infine il rapporto musica/tecnologia sta alla base della riformulazione delle categorie espressive tradizionali della colonna sonora e della narrazione audiovisiva.
I sistemi elettroacustici favoriscono un’ibridazione delle categorie di musica, dialoghi ed effetti sonori, tradizionalmente separati e concepiti come parti della colonna sonora. Ma innestandosi sulla sperimentazione delle forme linguistiche ed epistemologiche della composizione musicale nella sua transizione dalla nota al suono, la creazione audiovisiva contribuisce a introdurre modi ulteriori e inediti di concepire il rapporto tra tecnologia e musica, tra artefatto e oggetto naturale.
La semplice possibilità di un montaggio verticale stravolge all’origine l’idea di un ordine reale prestabilito, facendo perdere anche qualsiasi riferimento circa l’origine naturale o artificiale del suono. È questo ad esempio il caso degli Uccelli di Hitchkock, dove il suono è efficace in quanto è separato dalla visione e posto in primo piano in modo innaturale, elettronico.