Il bel giorno, vibrante e virginale

Il calendario di musikfest 10 esplora l'universo artistico di due grandi compositori del XX secolo, accostati per la prima volta in Europa in un programma ampio e articolato. Un viaggio attraverso la musica, le influenze e la scrittura di Pierre Boulez e Luciano Berio...

Berliner Philarmonie. 19.09.2010 – Johathan Nott e i Bamberger Symphoniker si apprestano a trascinare la sala in un’accorata esecuzione delSigfried Idyll di Wagner, seguita da un’esplosiva Pli selon pli, work in progress per soprano e orchestra scritto e rifinito da Pierre Boulez tra il 1957 e l’89. Un programma (ma preferiremmo dire un’esperienza musicale) nel complesso stridente, apparentemente bizzarro e senz’altro inedito, soprattutto per il pubblico della musica contemporanea berlinese, eppur in se stesso coerente, risolto, letteralmente e autenticamente sinfonico.
Nei venti giorni di concerti alla Filarmonica di Berlino, Strauss, Bach e Stravinsky risuonano nella stessa “atmosfera” di Debussy, Berg, Berlioz, in una dialettica complessa che si muove dalla ricezione creativa dell’opera d’arte alla scrittura, verso nuova musica. Luciano Berio e Pierre Boulez – nel ritratto disegnato da Winrich Hopp, dal 2007 direttore artistico dimusikfest berlin – segnano i poli opposti di questa ricezione. Un comune universo creativo che racchiude l’interesse per la musica extra-europea e il folklore popolare, la varietà sonora dell’impressionismo e i linguaggi non-lineari, la poetica del cielo della terra.
Oltre 60 lavori di 25 diversi compositori (20 solo dal catalogo di Berio e Boulez), più le straordinarie esecuzioni dell’Ensemble Intercontemporain, l’acclamata presenza dello stesso Boulez alla testa dei Berliner Philarmoniker. Infine, la grande orchestra gestita come corpo sonoro infinitamente smembrabile e ricomponibile, così come le parole e i fonemi s’intrecciano nei versi di Mallarmé. Abbiamo posto alcune domande a Winrich Hopp, per comprendere meglio la fitta trama di rapporti che sostiene questo programma così innovativo e riuscito.

Ho percepito, nell’organizzazione del programma, la presenza di un filo conduttore storico forte. C’è secondo lei una relazione tra il doppio focus su Berio e Boulez e l’idea di una linea storica che definisce la tradizione e il linguaggio della musica occidentale tra XX e XXI secolo?
Il suo punto di vista è molto interessante, ma non è il mio punto di vista. Io cerco di comprendere il mondo di un artista, non sono un artista. Il mio lavoro è presentare l’arte e per farlo devo poter conoscere a fondo il mondo di un artista. Il lavoro principale è comprendere l’arte stessa. Ad esempio, Berio ha secondo me una comprensione della musica tale per cui pezzi di diverse epoche possono stare insieme. Boulez, dal canto suo, quando era un giovane compositore era interessato a Johann Sebastian Bach e alla musica extra-europea. Era interessato a Strawinsky, Bartok e più tardi a Wagner e questi sono gli ascolti più familiari dal punto di vista di Boulez.
È certamente una forma di tradizione, che è interessante, ma io non credo in un approccio storico di presentazione della musica. Si tratta di ricostruire il percorso creativo dell’arte. Come musicologo so che gli artisti lavorano diversamente con la storia. La storia in se stessa è costruzione, la tradizione invece è qualcosa su cui siamo inseriti.
Quello che ho cercato di fare qui è di presentare cose che sono raramente mostrate prima a Berlino. Abbiamo cinque grosse orchestre, tutte con un ampio repertorio autonomo negli anni. Quando pensavo al programma mi sono chiesto come potevo presentare questi compositori nel festival in un contesto completamente nuovo così da poter scoprire nuovi aspetti nella musica. Il mio obiettivo specifico è stato quello di presentare la grande orchestra e creare un festival per orchestra. Boulez ha sviluppato un concetto molto aperto di orchestra che io ho voluto provare a sviluppare nel contesto del festival. “Il corpo di un’orchestra è inventato dallo spartito”. Abbiamo lavorato con l’orchestra come corpo così inteso ma anche come corpo sociale, come istituzione, che sono due cose completamente differenti. Questa è stata una grossa sfida. Gli artisti hanno diverse idee di come un’orchestra dovrebbe essere.

Che cosa intende quando specifica che l’orchestra come corpo sociale è diversa dall’orchestra in quanto corpo armonico o strumento?
L’orchestra come istituzione è un corpo sociale che ottiene supporto finanziario dalla città o dal governo, è un’azienda. Ogni orchestra ha dunque una sua struttura interna, il direttore, il repertorio, i tour, la sua tradizione, la sua funzione ecc. Se invece si osserva l’orchestra di Mahler allora diventa uno strumento per creare un mondo. E così accade nella musica di Lachermann o di Stockhausen. Ho chiesto alle orchestre che cosa avrebbero voluto fare con la mia offerta. Io ho solo offerto un programma e chiesto alle diverse orchestre come avrebbero potuto partecipare al festival. Mi limito a dire: “Siete un’ottima orchestra, siete interessati a venire a Berlino a suonare questo tipo di musica o avete qualche proposta?”.

Come ha scelto un’orchestra piuttosto che un’altra?
Guardi, Boulez e la sua musica… Non ci sono molte orchestre capaci di performare la sua musica, con l’esperienza necessaria per eseguire i suoi lavori. Ce ne sono poche in Europa. Avremmo potuto invitare orchestre dagli Usa, ma questo avrebbe significato organizzare un tour e trovare i finanziamenti sufficienti per questo e in definitiva sarebbe molto difficile da organizzare. Riguardo Boulez e la scena europea, ho invitato i direttori a lasciarsi influenzare dal modo in cui Boulez stesso conduce e concepisce l’orchestra.
C’è poi la splendida tradizione dell’Ensemble Intercontemporain, fondato da Pierre Boulez, e poi diretto da Peter Eötvös, David Robertson, Jonathan Nott e oggi Susanna Mällki, e così ho pensato di invitarli. Alcuni direttori hanno dovuto declinare la proposta di preparare i lavori di Boulez per mancanza di tempo e mi hanno proposto un programma in cui non c’è traccia di Boulez, ma in cui il modo di condurre l’orchestra è profondamente influenzato dal pensiero di Boulez e questo è secondo me molto interessante.
Non c’è una regola precisa alla quale mi attengo per concepire il programma del festival. La sola idea è la consapevolezza di creare un programma completamente nuovo di anno in anno. Il mio primo esperimento fu nel 2007. Nel 2008 abbiamo avuto un triplice focus su Bruckner, Messiaen e Stockhausen. Lo scorso anno è stato dedicato all’anniversario della caduta del muro di Berlino e così ho cercato di mettere insieme qualcosa che potesse rappresentare gli estremi sonori del XX secolo provando ad accostare Shostakovich e Xenakis.

Ci sono diversi punti, nel programma su Luciano Berio e Pierre Boulez, che uniscono e separano i due compositori: la fascinazione per la musica extra-europea, lo stretto legame tra parola, suono e musica. Potrebbe descriverci queste relazioni?
Ho cominciato a pensare che sarebbe stato interessante presentare la musica di Boulez qui a Berlino nel 2007, quando ho iniziato a curare musikfest, ma in seguito ho optato per il 2010 in occasione del suo 85esimo compleanno. Ho dato un’occhiata al suo catalogo e mi sono detto: “Come posso presentare questa musica, il modo in cui lui collega la sua musica al lavoro di Debussy, Bartok e così via?”.
Non è facile ascoltare la musica di Boulez a Berlino e si può dire che sia piuttosto sconosciuto al pubblico della musica contemporanea berlinese. C’è uno strano pregiudizio sulla sua musica e il suo lavoro come compositore, cioè che abbia a che fare con la matematica. Io non penso che ci sia alcuna relazione tra Boulez e la matematica. Forse da giovane fu affascinato da questi rapporti ma poi prese anche direzioni diverse. Che cosa c’è invece di nuovo? Il modo in cui si interessò alla musica extra-europea. Il suono dell’arpa andina, la musica africana e asiatica, il modo di gestire lunghe durate e strumenti inusuali. Un altro aspetto è la poesia di Mallarmé. Pensando a questo mi sono chiesto quale compositore avrebbe potuto essere il suo partner ideale di e ho subito pensato a Berio.
Luciano Berio ha gli stessi interessi di Boulez, ma a differenza di Boulez non è interessato al mondo artificiale e astratto quanto piuttosto al materiale popolare e folk. Lo stesso vale per l’interesse nei confronti del verso poetico. Sono due mondi profondamente differenti in cui troviamo interessi comuni. Cercando un punto di sintesi tra questi due compositori mi è venuto in mente Stravinsky, perché anche lui lavora con gli object trouvé, come Berio, e fu importante per la formazione di Boulez. Il punto di vista dei due su Stravinsky (c’è una splendida intervista in cui parlano di Agon) è molto diverso. Berio è affascinato da Agonmentre per Boulez questo è solo un pezzo neoclassico.

Se mai dovesse scegliere un lato di questa dialettica, quale preferirebbe?
Prenderei tutto. La cosa interessante dell’edizione di quest’anno è l’accostamento di questi due compositori. È difficile trovarli insieme e una volta finito il programma l’ho trovato molto innovativo. Anche Berio qui è piuttosto sconosciuto. Molti dei brani eseguiti in questa edizione, sia di Berio che di Boulez, sono state première assolute per Berlino e il suo pubblico.

 

Published on exibart.onpaper 2010

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