Macchina Autechre, a live experience

Il concerto degli Autechre allo Share festival di Torino è cominciato a notte inoltrata nella sala grande dell’Hiroshima Mon Amour, dopo un’interminabile dj set di Rob Hall e il live poco convincente del duo SND. D’altra parte lo spettacolo, annunciato per le dieci, è rimandato anche per il lento fluire del pubblico che tarda ad arrivare e si intrattiene a lungo nel cortile di fronte all’entrata. Alla fine i locale è pieno.
Per fortuna al piano di sotto dell’Hiroshima c’era lo showcase di Reactable, il tavolo-sintetizzatore interattivo progettato dai ricercatori dell’Università Pompea Fabra di Barcellona, e nella piccola sala esposizioni al piano superiore gli Otolab con Circo Ipnotico, audiovisual performance presentata quest’anno a Strp festival e Sonic Acts da Marco Mancuso per Digicult. Lo show, suggestivo e ben eseguito, attrae un pubblico ristretto, che si dimostra molto interessato al gioco sinestesico innescato dalle forme colorate e dai suoni diffusi nella piccola stanza. Gli Otolab gestiscono delle maschere di cartone nero ritagliate a mano, facendole girare su un piatto rotante artigianale dotato di led luminosi e proiettando il tutto attraverso una telecamera. Gli impulsi luminosi combinati con la rotazione delle maschere e con altri interventi nascosti all’osservatore, creano una spirale di forme e colori accesi, in sincronia con il suono che si muove perlopiù tra frequenze medie e basse. Il risultato è affascinante, anche se le dimensioni ridotte dello spazio e il telo usato per le proiezioni, che è davvero molto piccolo, incidono di sicuro sul potenziale effetto immersivo dell’improvvisazione.
Nella sala concerti la gente è timida e solo dopo mezzanotte si comincia a sentire l’esigenza di un po’ di musica, i supporters hanno cessato il loro estenuante calvario e il pubblico è pronto per cominciare. Gli Autechre non deludono. Quello che propongono è un vero concerto rock, con volumi potenti, le braccia tese in aria e tutto il resto. Quelli da stare sotto in prima fila.

Lo scalino sonoro che si crea non appena i due attivano le macchine lascia interdetti: non si tratta del livello del suono, che ovviamente è più alto di prima, ma della sua eccezionale qualità. Il sound è curatissimo e si estende su un’ampiezza di frequenze vasta, dalla quale emergono con chiarezza impressionante i più piccoli dettagli. Le sequenze live, che fanno muovere con un bpm molto elevato, non c’entrano assolutamente nulla con Quaristice, l’ultimo lavoro del duo, e nemmeno con Untilted e i dischi precedenti. L’effetto è dunque quello di assistere a un reale evento live e non ad un suo simulacro multimediale. Gli Autechre danno l’impressione di suonare con la massima concentrazione, attraverso un ineccepibile, continuo, visibile lavorio sulle macchine che attira l’attenzione di tutti nonostante il buio e l’assenza totale di immagini. L’attacco è netto, violentissimo, senza alcun crescendo, con tutti i suoni e le trame ritmiche già a mille, e così rimane per 60 minuti esatti senza stancare mai.

In un contesto (la cultura elettronica) dove spesso l’informazione prevale sull’esperienza diretta, gli Autechre hanno saputo offrire uno show emozionante e freschissimo, costruendo trame ritmiche inaudite in un crescendo continuo e vertiginoso, in un’atmosfera rock coinvolgente e autentica. Unico punto debole la durata. Nello spazio di un’ora si può certo godere il meglio delle sonorità Warp, ma non soddisfare la voglia di ascoltare live gli Autechre più ipnotici e narrativi.

Rob Brown e Sean Booth si incontrano nel 1987 a Rochdale, cittadina di provincia vicino a Manchester. Come molti adolescenti negli anni ’80, i due si divertivano a creare mix su cassetta con la combinazione PLAY/PAUSE o a registrare i suoni dalla televisione, mentre Rob stava imparando a suonare i piatti. Cominciano a utilizzare materiale d’ascolto per registrare cassette di loop e mix di musica hip-hop, fino a quando non hanno a possibilità di provare, grazie ad un amico, un computer Atari, alcune drum machine Roland e Casio e gli effetti a pedale Boss. Il desiderio di creare della musica propria arriverà molto più tardi, solo dopo aver sperimentato per lungo tempo con i suoni in circolazione e i preset delle macchine elettroniche. Nel frattempo Brown si dedica agli studi di architettura e Booth segue un corso di ingegneria del suono.
Nel 1992, dopo alcuni tentativi con piccole etichette locali gli Autechre firmano con l’allora pionieristica Warp Records e l’anno seguente debuttano con Incunabula. Il disco viene accolto bene e l’improvviso successo permette ai due di lasciare i rispettivi lavori e diventare musicisti professionisti. Negli anni ’90 gli Autechre sono stati la cifra di uno stile inconfondibile – etichettato il più delle volte come electronica – caratterizzato da una miscela di ambient e pulsazioni fantasiosamente equilibrate dentro strutture indefinite e spesso volutamente caotiche, casuali. Sempre con Warp Records, Brown e Both realizzano altri otto dischi come Autechre, e in più collaborano autonomamente con diversi musicisti a produzioni destinate ai remix dancefloor e in progetti paralleli.

Quaristice è il nono album del duo di Rochdale, uscito lo scorso 3 marzo e già tutto esaurito su Bleep. Per questo disco, che contiene venti tracce, gli Autechre hanno utilizzato – oltre alle numerose macchine del loro studio tra cui moduli Doepfer, sintetizzatori Korg, drum machine e sequencer Roland – anche un Apple PowerBook con Max/Msp e Digital Performer.

 

Pubblicato su Digimag

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